Associazione Tartufai Barberinese
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Il Tartufo

Con questo nome vengono indicati i funghi appartenenti al genere "Tuber", classe "Ascomiceti" essi presentano un carpoforo "ipogeo" (che si sviluppa sotto il suolo) e vivono in rapporto di simbiosi con le piante attraverso gli apici radicali.

Il loro sviluppo è un evento complesso che richiede molti mesi e si concretizza solo in seguito alla combinazione di particolari fattori ambientali e climatici, ancora oggi poco conosciuti e più che mai messi a rischio dall'abbandono dei suoli tartufigeni e dai cambiamenti del clima.

 

Il tartufo è particolarmente sensibile all'inquinamento del suolo pertanto può considerarsi una vera "sentinella" dello stato ambientale.

  

UN PO' DI STORIA DEL TARTUFO



Le testimonianze del consumo alimentare dei tartufi ci dicono che già nel 3000 a.C. i re Babilonesi ne facevano uso, come pure gli antichi Romani ed i Greci che definivano il tartufo Hydnon e da qui il termine “idnologia” la scienza che si occupa dei tartufi. Certamente i tartufi di allora erano di basso valore, e provenivano perlopiù dai deserti arabi e che ancora oggi vengono utilizzati per adulterare il tartufo bianco. Già i Greci provarono la sua classificazione, con il filosofo e botanico Teofrasto, che sosteneva che il tartufo era figlio dei tuoni e delle piogge (in effetti anche oggi sappiamo che il tartufo bianco è più abbondante qualora durante l’estate si verificano frequenti temporali e quindi anche fulmini). Pure Plinio il Vecchio diceva che il tartufo era qualcosa che non si poteva seminare tanto che la difficoltà di poterlo classificare, se appartenente al mondo animale o vegetale, fece ritenere che fosse una escrescenza del terreno, mentre nel medioevo ritenevano che fosse figlio del diavolo o delle streghe.

Solo nel 1536 Ciccarelli, uno studioso italiano ipotizzò che il tartufo fosse un fungo particolare, tesi confermata da studi successivi che lo attribuirono al regno dei Funghi, alla classe degli Ascomiceti ed al genere Tuber, mantenendo di fatto il nome con cui lo chiamavano i Romani.

A quei tempi la ricerca avveniva con il maiale, ne abbiamo testimonianza in un affresco di Lorenzetti nel Palazzo pubblico di Siena dove è raffigurata una persona che dietro ad un maiale a guinzaglio si appresta a rientrare in città, si dice dopo una battuta di ricerca al tartufo. Un’altra testimonianza viene offerta da Umberto Eco che ne parla nel suo famoso romanzo storico “Il nome della rosa”.

 

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